Ricordo Commemorazione di Alberto Fonnesu Alberto Fonnesu (1927-2004) è stato commemorato sabato 2 ottobre, nella Aula dell’Istituto di Patologia Generale. Dopo il saluto da parte di Gabriele Mugnai, Direttore del Dipartimento e di Antonio Conti, Vicepreside della Facoltà, Alexander Leaf, Professore di Internal Medicine alla Harvard Medical School, ha ricordato il suo rapporto con Alberto Fonnesu, iniziato a Oxford, nel 1956, e proseguito fino alla sua scomparsa. Amici e colleghi si sono succeduti, per ricordare la vicenda umana e scientifica del Prof. Fonnesu. Umberto Dianzani ha ripercorso le tappe della formazione di Fonnesu, avendole condivise personalmente, dal conseguimento della Libera Docenza, al Concorso per la Cattedra. Licio Azzone, dopo aver portato il saluto dell’Accademia dei Lincei, ha sottolineato il ruolo di Alberto Fonnesu all’interno del CUN e del CNR, nonché durante la sua Presidenza della Società Italiana di Patologia. Da questo ricordo è emersa una figura rilevante nel campo della ricerca e della vita accademica italiana, a partire dallo studio del danno mitocondriale, del rigonfiamento torbido e di vari argomenti di cancerologia. Guido Guidotti ha sottolineato l’impegno didattico di Fonnesu, sostenuto dalla volontà di unificare e uniformare l’insegnamento della Patologia Generale, ricordando in particolare la sua prolusione dell’anno accademico 1961-62 a Messina, centrata sul problema della trasformazione di energia a livello cellulare. I meriti scientifici di Fonnesu sono stati ricordati da Ugo Del Monte, che ha citato il suo intervento al I° Congresso Europeo di Patologia, a Varsavia, nel 1966, dal titolo Extramitochondrial oxidation in liver and hepatoma cells e quello al IV° Congresso Internazionale di Biochimica, a Vienna nel 1969, dal titolo The biochemical response to injury. Nel complesso, tuttavia, è stata soprattutto la figura umana di Fonnesu che gli allievi ed i colleghi hanno voluto mettere in evidenza, con particolare riguardo ai suoi rapporti con gli studenti. Cordiale, ma fisicamente autorevole, dotato di un naturale carisma, Fonnesu aveva contribuito decisamente alla modernizzazione della Patologia Generale, sottolineando l’importanza di un contatto continuo con gli studenti. Questo aspetto è stato adeguatamente approfondito da Salvatore Ruggeri, che ha ricordato come, anche nella veste di pro-rettore nei difficili anni Settanta, Fonnesu, uomo d’ordine che credeva nella istituzione universitaria, non avesse eluso le difficoltà del ruolo, impegnandosi sempre in modo attivo e proficuo. Il rapporto maestro-allievo è stato ripercorso da Massimo Olivotto in modo estremamente originale, attraverso un approccio squisitamente letterario, proprio per non incorrere in quel tipo di “commemorazione”, che Alberto Fonnesu non amava: maestro come “padre difficile” ed allievo come “emanazione filiale” è stato il leit motiv di questo intervento, che ha ripercorso la relazione tra Alberto Fonnesu e i suoi allievi, nella prospettiva di quella “vasta paternità” che caratterizza i grandi maestri, pur nella contraddittorietà e nella conflittualità del rapporto. Dopo la chiusura ufficiale di Mario Comporti, Presidente della Società Italiana di Patologia, sono intervenuti vari colleghi, che hanno voluto ricordare Alberto Fonnesu unitamente alla moglie, Clara, raffinata ricercatrice che ha condiviso col marito una lunga vicenda umana e professionale. Costruire il futuro: bauen die Zukunft. Questa, nelle parole di un collega tedesco, riferite da Gabriele Mugnai, la sintesi del messaggio di Alberto Fonnesu nella sua visione della Patologia Generale, disciplina che costituiva, nella sua prospettiva, il tronco centrale della ricerca medica, da cui altre discipline si originano e altri filoni prendono avvio.
Donatella Lippi
Commemorazione del Prof. Alberto Fonnesu Tratto da Il Notiziario della Società Italiana di Patologia N.3 (Nuova Serie) Febbraio 2005, p.6 Presso il Dipartimento di Patologia ed Oncologia Sperimentale dell' Università di Firenze, si è tenuta il giorno 2 Ottobre 2004 la Cerimonia di commemorazione del Prof. Fonnesu, per tanti anni Direttore dell'Istituto di Patologia Generale e Maestro di un folto gruppo di Allievi. Alla Cerimonia erano presenti moltissime persone, fra le quali il Prof. Gensini, Preside della Facoltà Medica di Firenze, molti anziani e ben noti Professori di Patologia Generale, il Presidente della Società Italiana di Patologia ed ovviamente gli Allievi di Firenze e Milano. Si riportano qui di seguito alcuni dei principali interventi. Proff. Gabriele Mugnai, Salvatore Ruggieri, Massimo Olivotto Alcuni allievi del Prof. Alberto Fonnesu hanno ritenuto di onorare la memoria del loro Maestro ricordando alcune delle qualità più caratteristiche del Professore. Una di queste, e cioè la capacità di stabilire amicizie vere e durature, indipendenti dalle contingenze accademiche o scientifiche ma non per questo meno fruttuose, è stata illustrata dal Prof. Gabriele Mugnai in occasione della presentazione ai convenuti - di seguito riportata - del Dr. Alexander Leaf, uno dei più cari amici del Prof. Fonnesu venuto espressamente da Boston per partecipare alla giornata commemorativa. L'amicizia nata tra il Prof. Fonnesu e il Dr. Leaf ai tempi del loro anno sabbatico nel laboratorio di Sir Hans Krebs a Oxford ha dato origine, nel corso degli anni, ad una serie di proficui rapporti tra studiosi americani e ricercatori dell'Istituto di Patologia Generale di Firenze: "Vorrei spendere poche parole per spiegare perché ci sentiamo particolarmente onorati ad avere oggi con noi il Dr. Alexander Leaf. Ritengo che il Dr. Leaf sia uno dei più vecchi amici di Alberto Fonnesu, visto che si sono conosciuti nel 1958 in occasione del loro anno sabbatico nel laboratorio di Sir Hans Krebs a Oxford. Il rapporto che si è stabilito tra Alexander Leaf e Alberto Fonnesu rappresenta un esempio di come una forte e duratura amicizia abbia un impatto positivo sulla comunità scientifica.Negli anni settanta, quando uno di noi, Salvatore Ruggieri, chiese al Prof. Fonnesu dove recarsi per il suo periodo sabbatico, il Professore chiese consiglio al Dr. Leaf, a quel tempo Direttore dei Medical Services del Massachusetts General Hospital di Boston. Il Dr. Leaf suggerì un giovane ma già famoso scienziato del Massachusetts General Hospital, esperto di virus oncogeni, il Dr. Paul Black. Nel laboratorio di Paul Black, un ambiente particolarmente stimolante, Salvatore Ruggieri trascorse due anni molto produttivi, e l'amicizia che si sviluppò tra i due rappresentò il tramite per cui io ebbi l'opportunità di lavorare nel laboratorio di Lloyd Culp, un allievo di Paul Black. E la storia non finisce qui, perché Emanuela Barletta, una mia valente collaboratrice, ha in seguito a lungo frequentato il laboratorio di Lloyd. L'amicizia tra Alberto Fonnesu e Alexander Leaf ci insegna che il mondo scientifico non è fatto soltanto di competizione, frustrazione per gli obbiettivi mancati e brama di riconoscimento personale; esso comprende anche la collaborazione, il sostegno reciproco e la stima fra colleghi, tutte qualità umane che, col tempo, non mancano di dare i loro frutti." GABRIELE MUGNAI. Il Prof. Alberto Fonnesu è stato anche ricordato, nella presentazione fatta dal Prof. Salvatore Ruggieri, per la sua particolare capacità di interagire con gli studenti, che, nel corso delle numerose generazioni che si sono succedute durante il suo lungo insegnamento, lo hanno sempre considerato come una figura di riferimento importante per la loro formazione, oltre che come Professore di una disciplina, quale la Patologia Generale, che egli ha immensamente contribuito a elevare a materia fondante del curriculum degli studi medici della Facoltà di Medicina di Firenze: "Quando nel mondo accademico scompare una grande figura, come quella del Prof. Alberto Fonnesu, il ricordo della sua personalità si focalizza su aspetti che riguardano il suo carisma, il suo potere accademico, quanto ha prodotto nel campo scientifico, quanti collaboratori ha avuto; raramente viene ricordato quanto ha veramente fatto per gli studenti, quasi che l'attività didattica dovesse essere un ovvio dovere. Quindi, ho pensato di onorare la memoria del Prof. Alberto Fonnesu ricordando un aspetto, secondo me, molto speciale della sua personalità, e cioè il suo particolare rapporto con gli studenti, che ha lasciato una traccia permanente nella nostra Facoltà di Medicina. Il Prof. Fonnesu, arrivato a Firenze 42 anni fa, all'età di 36 anni, colpì subito sia il corpo accademico sia gli studenti di quel tempo per la sua estrema cordialità, appena velata dalla figura, diciamo, "fisicamente autorevole". Nonostante la giovane età, aveva già dato un importante contributo alla modernizzazione ed allo sviluppo nella nostra disciplina, insieme ai colleghi della sua generazione, di cui abbiamo qui presenti alcuni illustri rappresentanti. Subito instaurò quella che noi chiamiamo la "filosofia della porta aperta", con cui vogliamo definire la sua disponibilità a ricevere ed ascoltare ugualmente, in qualunque momento della giornata, studenti, colleghi, collaboratori, personale tecnico ed amministrativo. E già questo rappresentava una novità per quel tempo. Parallelamente all'opera di rifondazione dell'allora Istituto di Patologia Generale, iniziò un'intensa attività didattica che lo ha portato a contatto nel corso degli anni con un'enorme massa di studenti che lo ricordano tuttora per le sue belle lezioni e specialmente per la chiarezza nel presentare i concetti fondamentali della Patologia Generale, frutto della sua lucidità mentale, del suo rigore e della sua continua revisione critica della nostra disciplina. Ma l'aspetto più originale del rapporto del Prof. Fonnesu con gli studenti è stato il modo con cui stabiliva un contatto individuale con coloro che gli chiedevano aiuto, un modo caratterizzato dalla sua non comune capacità di saper ascoltare, associata ad una bonarietà di fondo, che metteva a loro agio i giovani studenti. Gli effetti più eclatanti di questo rapporto con gli studenti risaltavano specialmente con quelli meno dotati, con cui passava lunghe ore in chiarimenti e spiegazioni, anticipando di molti anni quello che oggi viene chiamato tutorato. Lo studente usciva da questa esperienza imprevedibilmente maturato ed anche più fiducioso nell'istituzione universitaria. C'è un altro aspetto del rapporto del Prof. Fonnesu con gli studenti che vorrei ricordare, e cioè il fatto che non esprimeva mai giudizi negativi inappellabili (aveva stima ma non idolatria per i bravissimi), tanto era convinto che, con la buona volontà e l'applicazione, ogni studente potesse raggiungere un livello di preparazione della Patologia Generale sufficiente per poter proseguire gli studi di Medicina, pur essendo consapevole del grande impegno che la nostra disciplina richiedeva. Il suo contatto con gli studenti non è mai venuto meno durante tutto il lungo periodo della sua attività didattica, nemmeno negli anni difficili del '68 di cui capì gli aspetti innovativi, ma anche quelli distruttivi che si fecero sentire negli anni immediatamente successivi. Tuttavia, non cessò mai di affrontare con coraggio i problemi del mondo universitario di quei tempi, tanto che accettò in quegli anni la carica di Pro-Rettore. E' singolare che i giovani "Danton" degli anni '68 lo invitassero alle loro riunioni a testimonianza della stima che i giovani avevano per lui, "uomo d'ordine" che credeva nell'istituzione universitaria.Ora che questo stile introdotto dal Prof. Fonnesu nell'interazione con gli studenti è stato fatto proprio da molti colleghi, divenendo patrimonio comune di questa Facoltà, vorrei che non se ne dimenticasse la paternità." SALVATORE RUGGIERI. E' seguito un intervento del PROF. MASSIMO OLIVOTTO che ha sottolineato soprattutto alcuni aspetti della personalità del Prof. Fonnesu riguardanti la sua figura di Maestro affettuoso, al punto da manifestarsi in molti casi un padre umano oltre che scientifico. Prof. Guido G. Guidotti ALBERTO FONNESU: un ricordo indelebile Il ricordo di Alberto Fonnesu, vivo e frequente in me anche al di fuori delle occasioni canoniche quali il Natale in cui ci sentivamo, e ci siamo sentiti sino all'ultimo, mi evoca episodi e aneddoti, anche amabilmente divertenti, vista la consuetudine, la collaborazione e l'amicizia che mi hanno legato ad Alberto per tanti anni. La storia ha inizio a Milano nel 1954, quando io, fresco laureato in Medicina, ma inserito nell'Istituto di Fisica Superiore, ritenendo di riavvicinarmi ad una disciplina più consona alla mia laurea chiesi al prof. Occhialini, fisico delle particelle, di presentarmi al suo amico di grotte (erano entrambi speleologi) prof. Enrico Ciaranfi, da poco chiamato a Milano in Patologia Generale. Fui subito accolto e il prof. Ciaranfi mi presentò la sua squadra (oggi si dice così). Tra i componenti, il delfino, Alberto Fonnesu, che era appena rientrato da uno stage in Inghilterra, nientemeno che nel Laboratorio di Sir Hans Krebs, se ben ricordo. Rimasi impressionato da questo incontro con Alberto. E ancor più entusiasta, per la cordialità, la disponibilità, l'apertura mentale ed il suo curioso ciclo circadiano di lavoro. Arrivava tardi, il mattino. Ma non interrompeva mai sino a ore poco frequentate dalla gente normale. Cercando di imparare, molte volte mi trattenevo anch'io. E qui sorgeva un problema, alla base del primo aneddoto che voglio raccontare. Alberto, Clara Severi che diventerà presto sua moglie, e alcuni altri come Cesare Agostini, Giovanni Di Sabato e forse altri di cui non ho ricordo (sono passati 50 anni) avevano certo un problema. In quegli anni, a Milano, alle 11 di sera, non era in genere possibile trovare aperti un ristorante, una trattoria, un locale in cui mangiare. Con una eccezione. In centro, in una viuzza dietro la galleria del Corso, era aperto Buralli. Si mangiava relativamente bene e a buon mercato. Ma la frequentazione era abbastanza particolare. Nessun pericolo, a quel tempo. La città era tranquilla. Ma il locale era meta di tutte le ‘lucciole', chiamiamole così, di Corso Vittorio Emanuele, piazza Duomo e dintorni. Noi eravamo gli alieni (a quel tempo vestivamo sempre con giacca e cravatta). Guardati con curiosità, ma con la possibilità di sfamarci. E per svariate sera Buralli è stato il nostro buen retiro. Altri ricordi, di lavoro questa volta. A quel tempo Alberto e il prof. Ciaranfi erano coinvolti in ricerche sulla patologia cellulare. Come mia escursione in questo campo e interazione con i loro studi, nel 57 venne presentata al congresso della Società Italiana di Patologia (Milano-Como) una comunicazione sulla sintesi proteica nel rigonfiamento torbido, un argomento caro ad Alberto. Solo pochi anni dopo, Alberto Fonnesu vinceva un concorso a Cattedra ed era chiamato a Messina, nel 61 se ricordo bene. E fu subito incaricato di tenere la lezione magistrale di prolusione per l'anno accademico 1961-62. E qui citerò un altro divertente aneddoto, innescato da questo evento, che riguarda noi della scuola del prof. Ciaranfi. Alberto era il numero uno e noi non volevamo perdere l'occasione di applaudirlo. Così, tutti in aereo diretti a Messina, il prof. Ciaranfi in testa. Eravamo tanti e occupavamo parecchie file di posti nell'aereo. Faceva caldo e ci togliemmo la giacca. Tanti giovani in candida camicia bianca, come una divisa. Ad un certo punto un signore ben vestito si alza dal suo posto, si avvicina a noi e chiede: siete una squadra di calcio? E, rivolgendo lo sguardo verso il prof. Ciaranfi, quello è il vostro allenatore? Il nostro apparente sdegno di sicuro nascondeva un certo intimo compiacimento. Il racconto di questo aneddoto ha divertito molto Alberto, ed anche il prof. Ciaranfi che non si era probabilmente reso conto del contenuto delle domande... Ben presto Alberto ottenne il trasferimento a Firenze. Città a cui era profondamente legato e che divenne la sua sede definitiva. Questo avvicinamento consentì di riprendere la collaborazione scientifica ed è del 1964 l'uscita di un lavoro comune, questa volta in campo oncologico. Negli anni successivi, non pochi, parlo di più di vent'anni, i miei ricordi sono di intermittenti ma mai cessate discussioni con Alberto sui contenuti e sui programmi di insegnamento della nostra disciplina. Ho ritrovato un piccolo opuscolo relativo a tentativi e proposte di unificazione dei programmi d'insegnamento della patologia generale, in cui Alberto era partecipe. Opuscolo presentato non ricordo bene a quale Congresso nazionale della Società Italiana di Patologia. Non ne sortì granchè e, verso la fine degli anni ottanta, il prof. Fonnesu ritenne che valeva la pena di operare in seno alla Società Italiana di Patologia per renderne più incisiva l'attività in campo didattico, oltre che scientifico. E nel corso del XIX Congresso nazionale della SIP, si era alla fine del 1988, il prof. Fonnesu fu nominato Presidente della Società, chiedendo nel contempo che io divenissi il segretario. E segretario lo fui, per quattro anni,. in cui le occasioni di incontro con Alberto divennero molto frequenti. La nostra stretta collaborazione, fatta di viaggi Milano-Firenze, e viceversa, continuò sino al 1993 quando, in occasione dell'ultima riunione del Consiglio SIP, Alberto propose il sottoscritto quale futuro presidente. Resterò in carica per 2 mandati, non cessando di apprezzare quanto Alberto aveva seminato. E ancora, la nostra amicizia e collaborazione continuò nel tempo. Fui più volte invitato quale componente della commissione di ammissione ai Corsi di Dottorato di Ricerca di cui Fonnesu era coordinatore. Ed alcuni suoi allievi, venivano da me in commissione d'esame nel Corso di Dottorato di cui io ero coordinatore a Parma. Infine, negli ultimi anni sono venuto in Istituto a Firenze, per ragioni accademiche o personali, e in queste occasioni Alberto è sempre stato prodigo di consigli e di incitamenti. Che dire di più. Per me è stato un grande amico ed una delle persone per le quali la mia stima e il mio rispetto non sono mai venuti meno. Anzi, stima e rispetto sono aumentati con il passare del tempo. Prof. Ugo Del Monte Ringrazio gli organizzatori di questa riunione, miei cari colleghi di anni importanti che ho vissuti qui con loro, saluto il dr. Alexander Leaf, gli altri oratori, la famiglia Fonnesu, tutti gli intervenuti e, last but not least (pregando Gabriele Mugnai di rendersene interprete), saluto il prof. Gensini, Preside della Facoltà di Medicina e Chirurgia di Firenze, oggi assente. Della Facoltà Medica di Firenze sono orgoglioso e mi onoro di aver fatto parte in passato. In essa ho lasciato un po' del mio cuore. Ricorderò il prof. Alberto Fonnesu soprattutto attraverso delle immagini di fatti importanti della sua vita, molti dei quali da me vissuti vicino a lui. Nell'autunno del 1954 fui accolto come studente interno nell'Istituto di Patologia Generale di Milano e il prof. Ciaranfi mi indirizzò al laboratorio del dr. Alberto Fonnesu. Con sorpresa riconobbi in Fonnesu quella persona che avevo notata pochi giorni prima presso gli uffici di Segreteria dell'Università statale di Milano, perchè mi sembrava vestito in modo troppo serio per un giovane, soprattutto perché portava calcato in testa un cappello di feltro scuro. Ripetei a lui quanto già avevo detto al prof. Ciaranfi. Il dr. Fonnesu, con fare amabile che apprezzai molto, andò subito al dunque: "Per fare ricerca non è necessario essere dei geni ma bisogna avere molta voglia di lavorare e di imparare." Aggiunse anche: "La resistenza fisica aiuta molto." Valutai di avere questi requisiti e così mi fermai. Pochi giorni dopo, però, Fonnesu partì per Oxford così rimasi affidato a Clara Severi, una persona veramente straordinaria per il rigore con cui sperimentava, per l'energia e per la chiarezza con cui spiegava a chi voleva imparare e per la sua disponibilità e umanità. Devo molto anche a lei per quanto mi ha insegnato in quel periodo iniziale e per aver collaborato con me alcuni anni dopo a Messina. L'anno dopo il dr. Fonnesu tornò da Oxford, e, avendo preso la libera docenza in Patologia Generale, diventò il prof. Fonnesu. Stando nel suo laboratorio mi resi conto che, quando mi aveva detto che la resistenza fisica aiuta molto, intendeva riferirsi anche alle discussioni serali e al lavoro notturno. Infatti la correzione della mia tesi di laurea fu completata all'alba di uno degli ultimi giorni utili, dopo di che, prima di andare a coricarci, andammo a rifocillarci al Bar Risveglio di Città Studi, ritrovo mattutino dei tramvieri e di altri lavoratori che ci andavano per prendere il caffè o per farsi un bianchino. Dopo la laurea restai lì e qualche mese dopo diventai assistente volontario. Il prof. Fonnesu teneva per incarico il corso di Patologia generale per gli studenti del secondo anno di Medicina e preparava anche la libera docenza in Biochimica e i titoli scientifici per il concorso a cattedra di Patologia Generale che presto sarebbe stato bandito. Nel laboratorio ferveva il lavoro.Nei primi giorni di settembre del 1958 ci trovammo a Vienna per il IV° Congresso Internazionale di Biochimica (figura). Qui ci vedete, Fonnesu e me, in un'aula del congresso insieme col prof. Dianzani e col compianto collega Antonio Perin. Subito dopo Vienna, il prof. Fonnesu con Clara si recarono a Semmering, una località austriaca dove, ai margini del IV° Congresso di biochimica, era stata organizzata una conferenza su "The biochemical response to injury". Ho preparato un fotomontaggio ricavato da tre pagine distinte del libro che contiene l'inter- vento di Alberto Fonnesu dal titolo: "Changes in energy transformation as an early response to injury". Nell'elenco dei partecipanti a quella con- ferenza ho evidenziato i nomi di alcune persone con cui egli intrattenne poi rapporti per tutta la vita: il dr. Fine, il dr. Kovach, il dr. Masoro e il dr. Stoner. Questo fu un punto di partenza importante anche per la sua attività immediatamente successiva. Infatti Alberto Fonnesu fu anche invitato a partecipare a una conferenza sullo shock che si tenne a Washington nel dicembre 1960. Prima del viaggio a Washington, Alberto Fonnesu aveva vinto il concorso a cattedra bandito dall'Università di Messina, del quale ci hanno appena parlato il prof. Dianzani e il prof. Azzone. Il professor Ciaranfi ci aveva informati appena rientrato da Roma ma con aria cupa perché, ci disse, un destino crudele aveva voluto che Fonnesu vincesse il concorso ma nello stesso tempo perdesse il padre. Alberto Fonnesu andò perciò ad occupare la cattedra di Messina con questo peso sul cuore. Negli anni successivi il prof. Fonnesu mi parlò più di una volta di questa coincidenza drammatica, quando lo coglievo a rigirarsi nel dito l'anello del padre con incastonato un rubino. Il professor Fonnesu tenne la sua prolusione nell'aula magna dell'Università di Messina il 10 maggio 1961, a conclusione del corso di patologia generale. La prolusione, dal titolo: "il problema delle trasformazioni di energia in patologia cellulare" costituì un avvenimento importante al quale partecipammo tutti dell'Istituto di Milano. Il prof. Guidotti ha appena ricordato che nel viaggio in treno per Messina un passeggero aveva chiesto se il gruppo della Patologia Generale di Milano fosse per caso una squadra di calcio e il prof. Ciaranfi il suo allenatore. Mi sembra perciò il caso di ricordare anche un altro divertente aneddoto. Dopo la prolusione del prof. Fonnesu vi fu un rinfresco in un locale sul lungomare di Messina, dove tutti i presenti, fra cui i membri della Facoltà di Medicina, brindarono al nuovo giovane e brillante cattedratico. A questo punto il qui presente prof. Aldo Bernelli alzò di nuovo il calice e, rivolgendosi con aria scanzonata al prof. Ciaranfi, augurò: "Professore, cento di questi giorni!". Dal 1 novembre di quell'anno su consiglio di Ciaranfi e invito di Fonnesu lasciai la posizione di assistente incaricato presso il centro del CNR dell'Istituto di Milano e mi trasferii a Messina come assistente ordinario. Nell'Istituto di Messina la attività didattica era intensa e regolare, e l'ambiente tranquillo fatto di persone brave e oneste era anche molto favorevole al lavoro sperimentale e allo studio. La forza-lavoro dell'Istituto di Messina pressoché al completo risulta dalla prima pagina di un lavoro di gruppo dal titolo: "Azione di vari inibitori sulla respirazione endogena dell'epatoma- ascite e del fegato" che, benché fatto a Messina, uscì pubblicato quando eravamo già passati a Firenze. Firmarono il lavoro: Ugo Del Monte, assistente di ruolo, Giuseppe Bombara, assistente di ruolo con qualifica di aiuto, Domenica Morabito, moglie di Bombara e assistente volontario universitario, e Clara Fonnesu la quale, già libero docente di Patologia Generale, dedicava metà della sua giornata al lavoro sperimentale come semplice frequentatrice. Clara era una persona molto positiva. Andando a Messina col marito aveva lasciato la carriera universitaria, io invece c'ero entrato. Così ella si mise a mia disposizione per il lavoro di laboratorio con una serietà e umiltà che all'inizio mi mise anche un po' a disagio. Quanto al prof. Fonnesu, pur avendo egli diretto la ricerca ed avere seguito passo passo gli esperimenti, non aveva voluto figurare come autore, adducendo l'argomento che, come direttore dell'Istituto, egli aveva comunque ottemperato ai suoi doveri e che la pubblicazione di quel lavoro da parte di tutto il gruppo e degli altri lavori da parte delle singole persone ne era la tangibile prova. Questo atteggiamento di liberalità nei confronti dei più giovani che ancora dovevano fare carriera era stata una caratteristica di alcuni vecchi maestri come Luigi Califano e Enrico Ciaranfi, ma rientrava anche nella filosofia del prof. Alberto Fonnesu, il quale però apparteneva alla generazione successiva. Glie ne va reso merito. Messina non era però soltanto l'Istituto di Patologia Generale. Da persone normali, nel 1962 appena giunse la bella stagione andavamo tutti al mare, al lido di Mortelle, sul Tirreno. Fonnesu ed io solo per l'ora del pranzo. C'erano tutti i Fonnesu, compresa la gentile signora Jolanda con i suoi bambini (Giangiuseppe e Maria Maddalena) e la mia famigliola. C'era anche la mia mamma la quale, venuta in visita da Milano per pochi giorni, si trovò così a suo agio che si trattenne per tutto il periodo durante il quale andammo in spiaggia. A quell'epoca facevo i film, e in una fotografia c'è anche il professore: è l'unica che ho trovata buttando all'aria l'archivio di casa. Essa è stata certamente scattata da Clara. Da destra verso sinistra si vedono il sottoscritto, in piedi, vestito da città e con al collo la macchina da presa, poi, accosciato, il professor Fonnesu in tenuta più sportiva, in piedi mia moglie Aurora. Mia mamma è seduta. I tre bambini sono: sull'altalena Fabrizia e Luca, e sulla sabbia Gigi. Tre bambini tutti nati a Milano, ma che presto sarebbero diventati fiorentini di adozione. Infatti, l'anno dopo eravamo tutti a Firenze. Col nuovo anno accademico io però rimasi ancora un po' di tempo a Messina, in attesa di un posto sul quale trasferirmi. Così ebbi il piacere di avere per qualche mese come direttore il prof. Pellegrino, che oggi è qui con noi. Del periodo di Firenze vi parlerà, penso, chi mi segue. Non posso tuttavia fare a meno di ricordare il viaggio a Varsavia che facemmo ai primi di giugno del 1966 in occasione del I° Congresso della Società Europea di Patologia. Una mia foto ritrae il professor Fonnesu con Clara e mia moglie Aurora, davanti al Palazzo delle Scienze di Varsavia, sede del Congresso. In un'altra foto, presa da un fotografo ufficiale in un'aula durante il congresso, siamo visibili noi quattro seduti in fila. Clara, che era in attesa di Laura, si teneva prudentemente sul lato esterno, per potersi spostare facilmente in caso di necessità. In quell'occasione presentammo una comunicazione di Fonnesu, Del Monte e Olivotto, riguardante le ossidazioni extramitocondriali. L'argomento a quel tempo era nuovo, era affiorato da alcuni risultati di Messina e per qualche anno lo sviluppammo con Olivotto, insieme ad uno studio sulle perossidazioni negli epatomi variamente deviati che è stato ricordato poco fa dal prof. Dianzani. Questo filone di ricerca, però, subì delle interruzioni sia a causa della alluvione del 4 novembre 1966, sia per la mancanza di certe apparecchiature molto costose. Inoltre io andai all'estero per più di un anno e in seguito noi giovani ci dedicammo ad altri problemi. Il professore, benché tenesse particolarmente a questi argomenti, non ostacolò le nostre scelte. Alla fine del 1976, essendo andato fuori ruolo il professor Ciaranfi le circostanze mi avevano riportato a Milano, e dopo qualche anno ero diventato direttore del Centro del CNR dove in gioventù avevo iniziato a lavorare. Poco fa il prof. Dianzani ha ricordato che il CNR nominò qualche anno dopo il prof. Fonnesu membro, e quindi presidente, del Consiglio Scientifico del Centro. E' giusto precisare che la proposta della sua nomina a presidente venne dallo stesso prof. Dianzani. Questo fatto contribuì a rendere più frequenti i miei contatti telefonici col prof. Fonnesu che, comunque, avvenivano più spesso di sera a ore inoltrate, quando gli argomenti e i problemi si discutono meglio! Ho scelto un'ultima immagine, perché essa ritrae il prof. Fonnesu con il suo maestro, al quale egli era attaccatissimo, ma anche perché sullo sfondo delle persone si vede lo scaffale con i volumi del Biochemical Journal dove furono pubblicati i lavori del Dr. Leaf e quelli di Fonnesu e Davies fatti nel 1955 a Oxford, nel Laboratorio di Krebs, del quale il Dr. Leaf, oggi ospite d'onore, ci ha appena parlato. In questa foto scattata da me nella biblioteca dell'Istituto di Patologia Generale di Milano, si vede il prof. Fonnesu mentre guarda il prof. Ciaranfi che sta osservando compiaciuto un "salver" sul quale è incisa la seguente dedica: IL CENTRO DI STUDIO SULLA PATOLOGIA CELLULARE DEL C.N.R. AL PROFESSOR ENRICO CIARANFI SUO ILLUSTRE FONDATORE MILANO, 12 DICEMBRE 1990 Il prof. Fonnesu mi telefonò quella sera dall'albergo per dirmi che il prof. Ciaranfi gli aveva confidato di non essere mai stato tanto contento come per avere ricevuto quel dono. Prima di concludere vorrei anche dire qualche parola sul rapporto fra maestro e allievo intercorso fra me e Alberto Fonnesu, che aiuti a mettere a fuoco questo aspetto della sua complessa personalità. Pur essendoci fra noi due una differenza di età di solo pochi anni, e pur essendo io diventato ordinario abbastanza giovane, Fonnesu ed io ci siamo sempre dati del Lei. Credo che il Tu avrebbe messo a disagio entrambi, ed io gli sono grato per non avermelo mai proposto. Ma quanti oggi usano il Tu anche a sproposito! Questo punto è stato messo a fuoco molto bene da Claudio Magris in un suo saggio del 1996, incluso nella raccolta "Utopia e Disincanto" e intitolato "Maestri e scolari". Magris distingue fra veri e falsi maestri. Vero maestro è colui che senza cercare una falsa confidenza che impedisce un normale rapporto, non ama imporre le proprie convinzioni, ma aiuta gli altri a cercare una propria strada. In questa definizione di vero maestro io riconosco il professor Alberto Fonnesu. Grazie dell'attenzione. Prof. Mario U. Dianzani E' con animo commosso che mi accingo a ricordare Alberto Fonnesu, un caro amico, col quale ho condiviso momenti difficili della mia carriera. Ma Alberto è stato per me soprattutto un amico sincero, ed io lo ero per lui. Ringrazio pertanto i suoi allievi, che hanno voluto questa giornata, di aver dato a me l'onore, ma anche il dolore, di ricordarlo. La storia di Alberto e di me cominciò agli inizi degli anni Cinquanta, ma ebbe un curioso precedente. Io, tornato dalla guerra e dalla vita partigiana, frequentai a Siena, nel 1946, i corsi straordinari per reduci.Ebbi dapprima come insegnante di Patologia Generale Enrico Puccinelli, che passò quasi subito a Pisa, sostituito per poche lezioni, e nelle esercitazioni, da Claudio Pellegrino. Poi la Facoltà dette l'incarico ad un nuovo professore che veniva da Napoli, Enrico Ciaranfi. Il suo modo di far lezione, e soprattutto la chiarezza nel presentare i problemi, mi affascinarono. Lo seguii con gioia anche in Istituto, per poco, però, per la mia ansia di mettermi in pari con gli esami. Detti con Ciaranfi l'esame di Patologia Generale e capii che mi aveva apprezzato. Ciaranfi, però, restò a Siena per poco. La Facoltà chiamò infatti un titolare ordinario, che era Luigi Michelazzi, ordinario a Perugia, mentre Ciaranfi lo sostituì in quella sede nell'incarico, prima di vincere il suo concorso. A Perugia Michelazzi aveva avuto fra gli allievi interni Alberto Fonnesu, che poi mi descrisse come un ragazzo di grande intelligenza e passione. Io mi lureai nel 1948, e subito, ricordando Ciaranfi, feci la scelta della Patologia Generale. Michelazzi mi accolse e mi indirizzò nel levoro. Alberto, che era più giovane di me di due anni, si laureò con Ciaranfi nel 1950: ambedue avevamo "saltato" due anni nel nostro curriculum di studi elementari e medi. Questo incrocio (io cominciai con Ciaranfi e passai poi a Michelazzi, lui cominciò con Michelazzi e passò con Ciaranfi) venne definito da Ciaranfi "il chiasma". Ci incontrammo fisicamente la prima volta al Congresso di Siena, nel 1953. Simpatizzammo subito; mi ricordo che invitai lui e la allora sua fidanzata, Clara Severi, a pranzo a casa dei miei genitori. Alberto aveva un carattere aperto, amava ridere e scherzare, e piacque subito ai miei genitori. Io stavo studiando allora, già fin dal 1950, le alterazioni funzionali dei mitocondri, soprattutto nell'intossicazione da tetrtacloruro di carbonio, nel fegato. Con Ciaranfi, Alberto aveva pubblicato un metodo per la determinazione dell'acetato, nel Biochemical Journal. Il metodo mi interessò, e chiesi di apprenderlo direttamente a Perugia. Vi rimasi una settimana, e l'amicizia con Alberto si rinsaldò. Io fui per un lungo periodo in Svezia, con Caspersson, e poi in Olanda, con Westerbrink. Lui passò un altro periodo a Londra, con Krebs. Nel 1954 io pubblicai sulla dissociazione della fosforilazione ossidativa nel corso delle lesioni mitocondriali, e successivamente nell'intossicazione da dinitrofenolo, ed attribuii l'aumentata produzione di calore nella febbre alla dissociazione della fosforilazione ossidativa nei mitocondri. Lui, con Clara, vide la dissociazione nel rigonfiamento torbido. I nostri contatti si mantennero, e discutemmo spesso insieme su questi problemi. Nel 1956 sostenemmo gli esami di libera docenza insieme, con una commissione composta da Gennaro Di Macco, Massimo Aloisi ed Enrico Ciaranfi. Mi ricordo che, almomento della lezione, io ebbi la scelta fra "Aminoacidosi", "Ormonosi" ed "Anafilassi". Fui fortunato e non ebbi dubbi nello scegliere questo titolo. Lui, invece, fu meno fortunato. La sua scelta cadde fra "Ormonosi", "Vitaminosi" ed "Aminoacidosi", e non ebbe scampo. Chiese al Di Macco che cosa significassero questi titoli. Di Macco spiegò; mi pare che lui scelse le "Vitaminosi", interpretandole come una discussione generale sulle avitaminosi e le ipervitaminosi. L'esame, comunque, andò bene a tutti e due. Di Macco, però, aveva detto ai suoi colleghi che noi eravamo stati giudicati su lavori di Biochimica, nella quale nessuno dei commissari era specificamente competente. Ciaranfi disse la cosa al mio maestro, ed insieme decisero che avremmo dovuto presentarci anche all'esame di Chimica Biologica. Essendo già liberi docenti, avremmo potuto ottenere la docenza soltanto in base alla discussione dei titoli e ad una eventuale prova pratica, ma senza obbligo di lezione. I biochimici. però, temevano invasioni di campo e decisero di farci sostenere ugualmente la lezione. La Commissione era formata da Rossi Fanelli, Siliprandi ed il temutissimo Camillo Lenti, di Torino. Tutto andò bene anche questa volta. Ricordo un aneddoto, che Alberto, del resto, ripeteva a tutti ridendo. Eravamo ambedue piuttosto pesanti e decidemmo di pesarci, Avevamo però una sola moneta per la bilancia e vi salimmo insieme. La bilancia sballò e tutto finì in una bella risata. Si era nel 1958. L'anno dopo ci fu il Congresso di Patologia Generale a Rapallo, ed io fui relatore sulle alterazioni mitocondriali nella febbre. Ma il vero tema del Congresso era il concorso di Patologia Generale, bandito da Messina. Ero incaricato della disciplina dall'anno prima, a Cagliari. Un altro concorrente, Paolo Buffa, era incaricato a Modena. Tra gli altri concorrenti, emergevano Alberto e Claudio Pellegrino. Forse, anche se concorrenti allo stesso posto, non siamo stati mai uniti come allora. Mi dette ogni sostegno e conforto, anche di fronte agli attacchi subiti. Io vinsi il Congresso, ma anche il Concorso di Patologia Generale. Chi rimase fuori, fu Claudio Pellegrino, e mi dispiacque - molto, perché era più anziano di me, e mi aveva addirittura insegnato la disciplina a Siena. Alberto fu primo, Buffa secondo, ed io terzo, in quanto Cagliari non aveva la cattedra in ruolo, e si dovette aspettare che il ruolo fosse trovato. Poi vennero gli spostamenti. Io, che ero già stato sollecitato per Torino, passai a Siena, rimasta vacante dopo il trasferimento alla seconda cattedra di Bologna di Eugenio Bonetti. Per Alberto si prospettò la possibilità di Firenze. Combatté la sua battaglia e fu chiamato. Col 1965 io passai a Torino. Probabilmente a me andò meglio, perché lui trovò a Firenze maggiori difficoltà interne di quelle che io trovai a Torino. Per lui diventò più difficile continuare a lavorare in prima persona, anche se fu lui il primo a dimostrare che la pratica assenza della perossidazione lipidica negli epatomi era da mettersi in rapporto soprattutto con la scarsa espressione in quei tumori della catena mono-ossigenasica del reticolo endoplasmatico liscio. Passarono gli anni, ma non la nostra amicizia. Ci telefonavamo spesso, e ci incontravamo nei Congressi. Poi ambedue fummo nominati membri del Consiglio Scientifico del Centro CNR di Patologia Cellulare di Milano, e ci incontravamo ad ogni riunione. Dopo la seduta, c'era sempre un pranzo ad un ristorante dei dintorni. Alberto era un buon commensale, sempre allegro e pronto a raccontare storielle buffe. Poi venne la terribile malattia di Clara, cui lui era legatissimo, come del resto lei a lui. Combatterono insieme una lunga e dolorosa battaglia. La morte di Clara lo provò duramente, e non fu mai più allegro come prima. Mi parlava spesso dei figli, come del resto io a lui, e trovava neo loro progressi conforto. Anche lui, però, si ammalò, per una forma di arteriopatia diabetica grave; ogni passo era per lui doloroso; ricordo quando Del Monte ed io lo attendevamo alla Stazione di Milano in occasione delle riunioni del Consiglio Scientifico del Centro CNR. Sceso dal treno, avanzava zoppicando, ogni volta di più. Subì l'amputazione di alcune dita, poi altre operazioni. Lo stato diabetico ostacolava la guarigione delle ferite operatorio, ne giovò l'impianto di cellule ricavate da una coltura delle sue stesse cellule. La sofferenza cardiaca si accrebbe, e fu quella che lo portò alla fine. Durante la sua malattia, gli telefonavo spesso, con lunghe telefonate. Anch'io avevo il gravissimo problema della malattia di mia moglie, la quale, come la sua, era stata la mia collaboratrice in Istituto. Anche nella scelta della compagna della vita eravamo stati simili. e similmente venivamo colpiti. L'ultima volta che gli parlai, un paio di settimane prima della sua morte, mi sembrò particolarmente sofferente. Era costretto ormai da tempo a spostarsi in carrozzella, ed ogni affanno gli determinava affanno: affanno che sentivo nella sua voce. Rievocammo le nostre comuni traversie e le ambasce del concorso, ma anche gli errori, talvolta ridicoli, di certi nostri colleghi. Lui ne faceva collezione, ed anch'io ebbi a fornirgli alcuni esempi. Ora mi manca molto. L'affetto vive nel ricordo, specialmente dei momenti lieti, ma anche di quelli difficili. Perdonate la mia commozione. Prof. Giovanni F. Azzone Pur essendo Alberto ed io coetanei, io di un solo mese più anziano di lui, le fasi della nostra carriera, sia accademica che scientifica, sono state scandite da un ritmo molto diverso, per cui diverso è stata la nostra storia. Come molti sanno, io ero entrato in Patologia Generale da Aloisi nel 1954, proveniente dalla Biochimica, mentre Alberto è entrato in Patologia Generale da Ciaranfi subito dopo la laurea, cioè dal 1950. Alberto aveva cominciato subito a lavorare sui temi di patologia cellulare, il maggiore interesse di Ciaranfi. Io invece avevo iniziato subito a lavorare sulle alterazioni dei muscoli distrofici, il maggior interesse di Aloisi. I primi lavori di Alberto furono indirizzati verso l'analisi delle alterazioni delle cellule epatiche mentre i miei primi lavori furono indirizzati verso l'isolamento di una proteina, denominata gamma miosina, che compariva negli estratti dei muscoli dei conigli distrofici. Un casuale incontro fra i nostri rispettivi interessi scientifici si verificò poi casualmente nel 1960. Io ero andato a lavorare sui mitocondri al Wenner Gren Institute di Stoccolma con Lars Ernster, e mi ero occupato delle alterazioni di una ragazza che mostrava una particolare forma di ipertermia. Le nostre analisi indicavano che l'ipertermia era la conseguenza di uno specifico danno mitocondriale, più precisamente di un particolare tipo di disaccoppiamento della fosforilazione ossidativa. Fu per me una grande sorpresa nel leggere su Biochim. Biophys, Acta un lavoro di Alberto, a quel tempo a Oxford, sul rigonfiamento dei mitocondri. Il tema del rigonfiamento dei mitocondri e del trasposto ionico fu poi rapidamente abbandonato da Alberto mentre venne al centro dei miei interessi negli anni successivi. La domanda che sorge spontanea a questo punto è sul perché io abbia avuto per 40 anni con Alberto così poche occasioni di interazioni scientifiche e così tante, invece, di interazioni sia personali che accademiche. Credo che questo sia dovuto al modo con cui Alberto ed io abbiamo vissuto la nostra vita universitaria. Avevo incontrato per la prima volta Alberto a un Congresso della Società italiana di Patologia nel 1958 a S. Margherita Ligure. Alberto, nonostante fosse solo trentunenne, era già stato prescelto come vincitore del successivo concorso in Patologia Generale presso la sede di Messina. Un altro membro della terna era Dianzani mentre per il terzo posto vi era competizione fra i professori Buffa e Pellegrino, competizione che poi si risolse, per l'intervento di Califano, a favore di Buffa. Con la vittoria al concorso del 1960 Alberto si trasferì a Messina, una sede dove non trovò né le persone, né i mezzi e né l'ambiente adatti per sviluppare la sua attività scientifica. L'impossibilità di fare ricerca favorì quel processo che trasformò Alberto in pochi anni da promessa della ricerca in autorevole e appassionato accademico. Perché ho usato il termine appassionato? Perché Alberto, nonostante il suo apparente distacco, poneva una grande passione nello svolgimento delle sue attività accademiche. Accadde così che se da una parte fu impossibile per Alberto riuscire a superare quell'interruzione imposta dalle circostanze nella continuità della ricerca, dall'altra cominciò sempre di più un ampliamento degli interessi verso la gestione dei vari aspetti della vita accademica e il graduale trasferimento in questa gestione di quell'entusiasmo e quell'impegno che ha poi caratterizzato tutto il resto della vita di Alberto. Numerosi sono stati gli incarichi ricoperti da Alberto sia a livello locale, nella sua Firenze, come membro del C.d.A. e come prorettore, e sia a livello nazionale come membro del CUN, del CNR e come Presidente della Società italiana di Patologia. Alberto ha ricoperto tutti questi incarichi con un grande senso di responsabilità e con un non comune senso di equilibrio, sebbene sia responsabilità che equilibrio fossero il riflesso molto più del suo carattere e della sua statura morale che non del costume e dell'ambiente universitario del suo tempo. Aveva vissuto con sofferenza le vicende del ‘68 e degli anni immediatamente successivi in cui aveva assunto le maggiori responsabilità, una sofferenza che derivava dal rendersi conto della difficoltà, e meglio dell'impossibilità, di porre un argine al crescente degrado della vita universitaria. Per oltre 40 Alberto è stata una presenza insostituibile della vita Accademica italiana. Per me è stato un amico carissimo anzi uno dei punti principali di riferimento per le mie scelte nell'ambito della comune disciplina e della mia attività accademica. Vorrei ricordare solo un episodio della nostra stretta amicizia. Quando mi sposai a Verona nel lontano 1966 fu con mia grande sorpresa che vidi presenti al ricevimento di nozze sia Alberto Fonnesu che Enrico Ciaranfi. Rimasi poi a parlare, durante la cena in una trattoria poco fuori Verona, per tutta la sera con entrambi su temi che riguardavano sia la nostra vita personale che i problemi della vita accademica e scientifica. Della generazione che ha avuto accesso alle cattedre di Patologia Generale agli inizi degli anni '60 siamo rimasti, se non vado errato, soltanto Dianzani ed io. Permettemi di dire che la scomparsa di Alberto renderà ancora più sbiadita nella mia memoria il ricordo della nostra Università, un'Università in cui sia Alberto che io siamo cresciuti e vissuti e di cui Alberto era una delle espressioni più caratteristiche e più autorevoli. Questa Università mi sembra sconosciuta alla maggioranza dei suoi attuali frequentatori e docenti. Addio Alberto! Prof. Mario Comporti Visto che sono stato preceduto da tanti interventi così dotti e profondi, anche in ottemperamza alle raccomandazioni di brevità che mi sono state giustamente impartite, sarò brevissimo, quasi telegrafico. E visto che parlo qui come Presidente della Società Italiana di Patologia, comincerò con un aneddoto terra terra, preso appunto dalla Società: Vecchi congressi della Società Italiana di Patologia, quando si misuravano davvero le capacità espositive dei giovani e le pubblicazioni sulle riviste anglosassoni erano un fattore necessario, ma non sufficiente. Scena: tutte le ragazze che dovevano presentare comunicazioni spiaccicate a buccia di fico agli spigoli della porta d'ingresso o di pre-ingresso all'Aula. "Che fai qui?" - "Aspetto che passi il Prof. Fonnesu" - "O perché?" - "Perché anche il solo sfiorarlo porta bene". E data la mole corporea del Prof. Fonnesu, la speranza di un contatto non era poi così peregrina. Guardate che è molto facile trovare gente di cui si dica che porti male (comunità, scuole, parrocchie, circoli associativi vari), ma è difficilissimo trovare gente di cui si dica che porti bene: io, per esempio, nella mia vita l'ho sentito dire solo del Prof. Fonnesu. Dico questo perché evidentemente doveva esserci qualcosa dietro questo rarissimo "portar bene"; e che cos'era questo qualcosa? Era il carisma, quella proprietà innata per cui o uno ne nasce provvisto o uno ne nasce senza e non ci sono vie di scampo o di accomodamento. Questo Patologo generale di Firenze, che però non fiorentineggiava, dava agli astanti un senso di rispetto, che, dopo averlo sentito parlare anche per poco, con la sua cultura e la sua dottrina, pôrta così, in maniera naturale, non fatta calare dall'alto, si traduceva immediatamente in ammirazione e profondissima stima. Era un aspetto sempre sereno il suo, che infondeva serenità e simpatia, che arrivava diretta per osmosi, senza bisogno di dispendio energetico. Era una cultura stemperata la sua, cultura vera, capace di profondarsi nelle infinite vie del sapere e del conoscere, capace di congiungersi ad un innato senso di umanità e di calore, capace di porgers1 con un fascino sempre nuovo e con la magia dell'affabulazione. Questo era per me il Prof. Fonnesu. |